Giocare con l’Utopia (1) – Scienza e anarchia

L’idea della differenza/separazione tra le “due culture” – quella umanistica e quella scientifica – che agivano su terreni diversi ed inconciliabili, creando due mondi intellettuali differenti ed incapaci di comprendersi, è nata nel 1959, quando Charles Percy Snow poneva la questione di come recuperare quella scissione.[1] Questa rubrica intende affrontare la questione dal punto di vista, per così dire, “militante”: poiché i “saperi” politici che un militante sviluppa sono in gran parte ascrivibili alla cultura umanistica ed alle cosiddette “scienze sociali”, quanto si perde nel non saper maneggiare un minimo determinate conoscenze provenienti dalla cultura scientifica in senso stretto che possono servire, invece, a comprendere lo stato attuale delle cose, sostanziarne la critica ed individuare le strade per il suo superamento?

La “Teoria dei Giochi” è nata all’interno dello stesso clima culturale della Teoria dell’Informazione, dei Sistemi e della Cibernetica,[2] è una disciplina che studia modelli matematici di interazione strategica tra “agenti razionali”, molto usata in varie branche degli studi sociali – in particolare l’economia[3] – e nelle scienze naturali, in particolare nella biologia evoluzionista.

La Teoria parte da alcuni assunti di base: 1. l’obiettivo degli agenti razionali operanti è la vittoria; 2. tutti devono essere a conoscenza sia delle regole del gioco sia delle conseguenze di ogni singola mossa e della strategia complessiva (ogni giocatore può decidere un numero finito di azioni); 3. esiste un compenso per una strategia che può essere positivo, negativo o nullo. Un gioco si definisce “a somma costante” se per ogni vincita di un giocatore corrisponde una perdita per altri; in particolare, un gioco “a somma zero” fra due giocatori rappresenta un pagamento che viene corrisposto da un giocatore all’altro. La strategia da seguire è rigorosamente determinata se ne esiste una che è accettabile per tutti i giocatori, altrimenti occorre massimizzare il valore atteso dal singolo agente in gioco, che risulta essere la media ponderata dei possibili compensi, ciascuno moltiplicato (pesato) per le probabilità di essere assunto (cioè verificarsi). Come è evidente, questa descrizione generale può essere implementata da modelli diversi di “compenso” e lo stesso vale per le ulteriori specificazioni delle tipologie di gioco che andremo ora a dare: in sintesi la teoria ambisce a rappresentare, in termini generali, le relazioni sociali.

La Teoria dei Giochi non descrive necessariamente situazioni di competizione, analizza anzi una vasta gamma di Giochi basati sulla Cooperazione: dove esiste una comunanza di interessi tra gli agenti razionali in gioco è, quindi, una strategia altamente razionale associarsi ed accordarsi con altri per migliorare il proprio compenso rispetto a quello che sarebbe stato in un’azione individualistica e competitiva. Rimandando i dettagli in nota,[4] un gioco è cooperativo quando tutte le possibili alleanze sanno che esiste un valore del gioco superiore alla semplice somma dei consensi conseguibili individualmente o da alleanze minori e gli agenti razionali in gioco interagiscono cooperativisticamente ed ottengono un mutuo e notevole vantaggio.

Il gioco cooperativo, poi, ha due sottocategorie; i giochi NTU ed i giochi TU. In un gioco Non Transferable Utility l’utilità non è trasferibile e non ci sono utilità diverse da concedere a terzi; in un gioco Transferable Utility l’utilità è trasferibile e ci sono utilità diverse da concedere a terzi. I giochi TU sono quelli maggiormente complessi. Innanzitutto, implicano più di due agenti per essere effettivamente cooperativi e deve trattarsi di un gioco in cui l’utilità conseguita deve essere superiore a quella che ogni singolo agente otterrebbe con una strategia a base individuale. Troviamo poi una suddivisione della “vincita” in base al ruolo svolto da ciascun agente in gioco, che dipende strettamente dalla sua strategia e dagli accordi che ha stretto con altri agenti interni o laterali al gioco.

Ovviamente nella realtà effettiva delle relazioni sociali può tranquillamente succedere che solo una parte degli alleati ottenga effettivamente delle utilità dalla cooperazione. In effetti, sin dall’inizio della Teoria, von Neumann e Morgenstern hanno caratterizzato i giochi cooperativi dicendo che una coalizione di individui può razionalmente formarsi esclusivamente a condizione che ogni ripartizione dei “guadagni” conseguibili da giocatori fuori dall’alleanza deve essere inferiore alla ripartizione effettuata tra i giocatori appartenenti alla coalizione e poi che nessuna ripartizione dei guadagni tra i membri dell’alleanza deve essere superiore a ogni altra possibile ripartizione. Insomma la coalizione dovrebbe formarsi in base a motivazioni puramente razionali in base alla sua maggiore utilità e, inoltre, le vincite dovrebbero essere distribuite nella maniera più equanime possibile .

La differenza evidente tra la descrizione matematica del “dover essere” razionale di un gioco cooperativo e la concreta e materiale realtà delle associazioni umane si spiega a due livelli. Innanzitutto – come vedremo in altri articoli – la razionalità è una condizione non necessariamente presente ma, anzi, eccezionale nelle relazioni umane effettive; poi, quello che von Neumann e Morgenstern descrivono è una cooperazione su base volontaria e, invece, nelle relazioni umane effettive spesso siamo in presenza di relazioni umane che sono cooperazioni obbligate – in pratica fondate su di una gerarchia politica, sociale, economica, culturale e non puramente strumentali all’ottenimento di un fine comunemente condiviso. In altri termini, per quanto paradossale, la struttura generale della Teoria dei Giochi che descrive quelli a carattere cooperativo sembra rappresentare più le società egualitarie e libertarie ipotizzate dal movimento operaio e socialista che lo stato attuale delle cose.

Si pensi alla guerra, dove eserciti e popoli cooperano l’uno contro l’altro, con il risultato icasticamente descritto da Bertold Brecht: “La guerra che verrà non è la prima. | Prima ci sono state altre guerre. | Alla fine dell’ultima c’erano vincitori e vinti. | Fra i vinti la povera gente faceva la fame. | Fra i vincitori faceva la fame la povera gente egualmente.” La guerra, ovviamente, potrebbe essere anche letta come un “gioco” competitivo tra due nazioni che solo al loro interno mettono in atto strategie cooperative ma, come icasticamente fa notare Brecht, la cooperazione interna porta in ogni singola nazione ad una redistribuzione delle risorse decisamente poco razionale.

La Teoria dei Giochi, comunque, descrive ovviamente anche i giochi non cooperativi o competitivi. In questi gli agenti razionali non possono stipulare accordi vincolanti ed il criterio razionale adottato è di carattere individuale, definito “strategia del massimo” dell’“intelligente ottimista”. In pratica l’agente razionale impegnato in un gioco competitivo ha come obiettivo quello di agire per ottenere il massimo guadagno possibile, attuando la strategia per lui più vantaggiosa. Una strategia che rappresenta il massimo guadagno possibile per tutti gli agenti razionali in gioco è definita “punto di equilibrio”: una strategia del massimo rappresenta sia il massimo utile individuale sia il massimo utile collettivo.[5]

Anche qui si può fare un discorso simile a quello fatto in precedenza relativamente ai giochi cooperativi: la realtà effettiva delle società umane mostra una situazione nella quale la competizione porta quasi sempre ad una redistribuzione del potere e della ricchezza ben lontana da una strategia del massimo.[6] Anche qui si può invocare il fatto che la razionalità comportamentale possa essere l’eccezione e non la norma nelle società umane; inoltre, la Teoria non considera sufficientemente la complessità delle relazioni sociali, dove la violenza e la minaccia della violenza sono continuamente presenti e deformano una condizione ideale. La Teoria, ancora una volta, sembra maggiormente adatta a descrivere una società non gerarchica più che lo stato presente delle cose.

Finiamo con il concetto di “somma” delle utilità in gioco. I giochi a somma zero descrivono le situazioni conflittuali dove la contrapposizione degli agenti in gioco è totale: la vincita di uno o più giocatori coincide esattamente con la perdita dei restanti, per cui la somma algebrica delle vincite e delle sconfitte dei contendenti è zero. Ovviamente, i giochi possono essere a somma diversa da zero: un risultato negativo implica che le strategie utilizzate hanno portato ad una generalizzata perdita di utilità. È vero che questa situazione sarebbe, dal punto di vista di un agente razionale, inaccettabile quindi razionalmente non perseguita ma, ancora una volta, sappiamo che nelle relazioni umane non è affatto una situazione impossibile – una guerra termonucleare e/o il non far nulla contro il cambiamento climatico non sembrano affatto degli orizzonti impossibili del futuro della specie umana.

Esistono poi anche giochi a somma diversa da zero con risultati positivi: ad esempio quelli basati sullo scambio di informazioni veritiere e, poi, i giochi cooperativi dove il risultato finale è quello di ottenere un’utilità maggiore di quella presente all’inizio. Pur potendo dunque la Teoria descrivere situazioni di cooperazione egualitaria, nella realtà dei rapporti umani sappiamo empiricamente che è possibile una cooperazione che porti ad aumentare la ricchezza complessiva dell’umanità ma in maniera enormemente squilibrata – è la storia del capitalismo industriale.[7] Intendiamoci: non stiamo dicendo che la Teoria dei Giochi è sbagliata, anzi; come dicevamo all’inizio, si tratta di una teoria potentissima per descrivere tutte una serie di relazioni umane è ed è stata ampiamente utilizzata in modo assai proficuo. Quello che vogliamo invece far notare è come essa sia anche uno strumento assai utile a comprendere e criticare lo stato attuale delle cose ed individuare le strade per il suo superamento. L’analisi del “Teorema della Rovina del Giocatore” e del cosiddetto “Dilemma del Prigioniero” ce lo faranno capire ancora meglio. [segue]

Enrico Voccia

NOTE

  1. Vedi la traduzione italiana SNOW, Charles Percy, Le due Culture, Venezia, Marsilio, 2005.

  2. Nasce, sostanzialmente nel 1944 con il testo di John von Neumann ed Oskar Morgenstern Theory of Games and Economic Behavior.

  3. Ben sette nobel per l’economia sono stati attribuiti a studiosi che hanno applicato la Teoria dei Giochi alle discipline economiche.

  4. Il concetto di unione di interessi individuali in una “coalizione” (o “alleanza”) è espresso dalla definizione di “gioco essenziale”, mentre il valore v di una generica coalizione G è misurato da una funzione detta “funzione caratteristica”. Indicato con R = l’insieme degli n giocatori, possono esistere 2n – 1 sottoinsiemi GR che rappresentano una coalizione tale per cui G si comporti agli effetti del gioco come se fosse un unico giocatore. La funzione caratteristica è, infatti, proprio definita sull’insieme delle parti di R, associando ad ogni alleanza un numero: V(G):= v. Un gioco ad n-persone è detto “essenziale” se V(G1) + V(G2) + … + V(Gk) < V(R) con k = 1, 2… n-1 e Gi Gj =  per ogni ij.

  5. Equilibrio di Nash, Tuttavia si deve sottolineare come l’equilibrio di Nash non sia la soluzione migliore per tutti, se i giocatori decidessero di allontanarsi congiuntamente dall’equilibrio potrebbero migliorare il proprio guadagno. Si osserva però che nell’ipotesi di reiterazione all’infinito del gioco, il valore di equilibrio è quello definito dalle strategie collaborative. Fuor della metafora matematica, le strategie cooperative sono, storicamente quelle da preferire.

  6. Cfr. PICKETTY, Thomas, Il Capitale nel XXI Secolo, Milano, Bompiani, 2016 e Capitale e Ideologia, Milano, La Nave di Teseo, 2020. Si vedano anche i rapporti OXFAM annuali.

  7. Ibid.

Related posts